Lavia ‘dice Leopardi’: dice, perché non legge né interpreta, ma riversa sul pubblico, in un modo assolutamente personale nella forma e nella sostanza, le più intense liriche leopardiane, da A Silvia a Passero solitario, dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia a La sera del dì di festa.
Leopardi soggiornò a Pisa nove mesi fra il 1827 e il 1828, dove sembrò rinascere, e ritrovare un equilibrio che lo portò a stemperare di nuovo nella dolcezza dell’intuizione poetica il disincanto e l’amarezza delle Operette morali. L’attore e regista milanese vuole rendere omaggio al poeta, al suo soggiorno pisano, a quella sua nuova voglia di sondare la parola e il suono in un momento della sua esistenza che si tramutò in esaltante creatività artistica.
“Le poesie di Leopardi sono talmente
belle e profonde che basta pronunciarne il suono, non ci vuole altro. Da
ragazzo volli impararle a memoria, per averle sempre con me. Da quel momento
non ho mai smesso di dirle. Per me dire Leopardi a una platea significa
vivere una straordinaria ed estenuante esperienza. Anche se per tutto il tempo
dello spettacolo rimango praticamente immobile, ripercorrere quei versi e quel
pensiero equivale per me a fare una maratona restando fermo sul posto”.
Gabriele Lavia